Intelligenza Artificiale (AI): se pensi che non ti riguardi, sbagli

Lydia Galeno

17 Aprile 2023

Lydia Galeno

17 Aprile 2023

AI: quanto la usiamo e quanto ne siamo consapevoli

Nella cultura popolare, l’intelligenza artificiale (AI) appare il più delle volte come un gruppo di robot intelligenti intenzionati a distruggere l’umanità, o quantomeno un qualcosa di lontano anni luce dalla nostra quotidianità.

Eppure, ci aspettiamo di trovare una lista di film da Netflix che rispettano le nostre preferenze, lasciamo che Spotify ci consigli canzoni, chiediamo indicazioni stradali ai nostri smartphone, parliamo con chatbot che si sostituiscono ad operatori del servizio clienti e facciamo le domande più insolite ad Alexa.

Questi e tanti altri sono esempi di come, in realtà, l’AI non stia bussando alla nostra porta, ma sia già entrata, in maniera quasi impercettibile, caricandosi di compiti sempre più complessi, perfezionando le sue skill tramite le nostre indicazioni e il nostro vissuto e crescendo al punto da potersi, in alcuni casi, sostituire a noi.

Spesso è difficile spiegare, specie ai più tecnofobi, che l’AI è già presente nelle nostre vite e di come la sua applicazione, tramite l’utilizzo di machine learning e meccanismi generativi, stia occupando una posizione sempre più dominante.

In poche parole, non viviamo ancora in Westworld, ma ciò non rende banale il possibile impatto dell’IA sul nostro futuro. Secondo un recente sondaggio, oltre il 72% degli americani è preoccupato per le macchine che svolgeranno attività umane in futuro.

Ed è proprio su queste premesse che, qualche giorno fa, 1123 (ad oggi oltre 26.000) tra imprenditori, accademici e figure di spicco del mondo della tecnologia, hanno firmato una lettera aperta pubblicata sul sito del “Future of Life Institute”, nella speranza di tirare il freno a mano, chiedendo ai laboratori di intelligenza artificiale di mettere in pausa lo sviluppo di tecnologie che potrebbero risultare “profondamente dannose per la società e l’umanità”, così come dichiarato dallo stesso Istituto.

La lettera, firmata da imprenditori del calibro di Elon Musk, CEO di Twitter, e Steve Wozniak, co-founder di Apple, sostiene che i laboratori siano impegnati in “una corsa fuori controllo per sviluppare e distribuire menti digitali sempre più potenti che nessuno, nemmeno i loro creatori, può capire, prevedere, o controllare in modo affidabile”.

Ma cosa sta accadendo? Da dove viene tutta questa preoccupazione? E, soprattutto: eravamo abituati a immaginare l’intelligenza artificiale come una di quelle parole “tecnologiche” che appartiene ad una realtà lontana, sicuramente non legata alla nostra quotidianità; quand’è che questa “cosa” invisibile ha preso piede al punto da diventare un potenziale danno per l’umanità?

Facciamo un passo indietro. Torniamo al momento in cui l’avvento dell’intelligenza artificiale è diventato noto anche ai più: l’introduzione di ChatGPT.

Fino a pochi mesi fa, la presenza dell’AI sembrava viaggiare indisturbata, accolta spesso da una velata ignoranza che non riusciva a distinguerla, interpretarla, o riconoscerne le potenzialità. Eppure, questo strumento di elaborazione del linguaggio naturale, guidato da tecnologia AI, e introdotto da OpenAI alla fine dello scorso anno, ha decisamente cambiato le carte in tavola.

Fonte: Google Trends – Analisi dell’andamento temporale della keyword “AI” in Italia
Fonte: Google Trends – Analisi dell’andamento temporale della keyword “AI” in USA

L’entrata in scena di ChatGPT

ChatGPT consente di avere conversazioni simili a quelle umane attraverso un modello linguistico che può rispondere a domande e assisterti con attività come la composizione di e-mail o la scrittura di codice. Una sorta di assistente personale che, seguendo una serie di indicazioni precise, può supportarci in qualsiasi tipo di attività, garantendo un risparmio di tempo e lavoro inimmaginabile. 

Ma ChatGPT è molto più di questo.

Le capacità conversazionali avanzate di questo chatbot AI hanno assottigliato la distanza tra l’uomo e la macchina, destando non poca preoccupazione.

Con 100 milioni di utenti attivi dopo solo cinque giorni dal lancio, ChatGPT è l’app con la crescita più rapida di tutti i tempi. Basti pensare che per raggiungere lo stesso traguardo, Tik Tok ha impiegato nove mesi.

fonte: Google Trends – Analisi delle query associate alla ricerca della keyword ‘Intelligenza Artificiale’

Cosa possiamo fare con ChatGPT? Tutto, o quasi

Un insegnante potrebbe usare Chat GPT per creare domande o correggere schede didattiche, uno studente potrebbe riassumere un libro, scrivere un tema, richiedere spiegazioni su eventi o fenomeni. ChatGPT potrebbe essere uno strumento di content creation per i marketer al fine di suggerire strategie, analizzare dati, identificare pattern e trend. 

ChatGPT può realizzare testi coerenti e ben scritti in un’ampia gamma di stili, argomenti e lingue, così come headline, lettere, contratti; potrebbe suggerire idee, giocare con regole prestabilite, proporre accorgimenti in base alle preferenze di ognuno, scrivere codice e decifrare immagini. È il miglior strumento per le ricerche di mercato, in grado di analizzare il sentiment di grandi quantità di dati di testo, come post sui social media, per identificare tendenze e modelli nell’opinione pubblica.

Con ChatGPT si ha come l’impressione di confrontarsi con un copywriter con competenze di insegnante, sviluppatore, ricercatore, divulgatore, marketer e qualche altra decina di professionalità.

Dopo aver stupito tutti con le sue poesie, la sua prosa e i suoi risultati nei test accademici, ora il precoce chatbot di OpenAI sarà anche in grado di trovare il vostro prossimo volo, consigliarvi un ristorante e farvi arrivare un panino.

Con l’accesso al world wide web, non ci saranno limiti alle sue potenzialità.

Ed è forse questo che spaventa gli esperti del settore, e non solo.

Quali sono i rischi?

La scorsa settimana OpenAi ha annunciato che una serie di aziende, tra cui Expedia, Open Table, Instacart, ha sviluppato dei plugin che consentono al chatbot di accedere ai loro servizi. Una volta attivato uno di questi plugin, gli utenti potranno chiedere a ChatGpt di svolgere operazioni che, normalmente, richiederebbero l’uso del web o l’apertura di un’app.

La mossa potrebbe preannunciare una trasformazione nel modo in cui si utilizzano i computer, le app e il web, in cui programmi di AI completano le attività per conto degli utenti. 

Non avendo accesso a internet, finora ChatGpt non era capace di cercare informazioni recenti o di interagire con i siti web. È possibile che il cambiamento contribuisca a consolidare la posizione di OpenAi al centro di quella che potrebbe diventare rapidamente una nuova era per l’AI e il personal computing.

I nuovi plugin, che permettono al chatbot di interagire con siti e servizi, aprono la porta a una serie di potenziali problemi e rischi per la sicurezza, senza considerare che aziende entusiaste di utilizzare i nuovi sistemi di intelligenza artificiale potrebbero inserire i plugin in contesti sensibili come i servizi di consulenza.

Il passaggio dalla generazione di testo all’esecuzione di compiti per conto di una persona elimina un vuoto che finora ha impedito ai modelli linguistici di compiere azioni.

I ricercatori di Panda Security hanno individuato tre principali pericoli connessi all’ascesa di questa intelligenza artificiale.

Il primo fa riferimento al phishing. Le abilità colloquiali di ChatGPT possono essere sfruttate per scrivere email e testi corretti e convincenti, privi degli errori ortografici o di sintassi che spesso emergono da campagne malevole di questo tipo e che permettono di non cadere in questi tranelli.

C’è inoltre il rischio di assistere alla stesura di codice dannoso e di malware in grado di aggirare i più comuni e diffusi sistemi di controllo per aiutare i cybercriminali a raggiungere i loro obiettivi.

Il terzo pericolo è invece legato alle pratiche di social engineering poiché, se si pongono le giuste domande all’AI, si possono ottenere informazioni utili a confezionare un attacco mirato, prendendo di mira una singola persona o uno specifico dipendente, per poi penetrare nei sistemi di un’intera organizzazione o azienda.

A questi si aggiunge, infine, la quasi inevitabile diffusione di siti mirror fasulli e di profili social fake attraverso i quali i malintenzionati si fingono OpenAI per spingere i meno attenti al download di eseguibili corrotti.

Altri rischi riguardano la produzione di Deepfake, che pone l’esigenza di un lavoro di supervisione e monitoraggio dei sistemi di intelligenza artificiale, distinguendo il contenuto reale da quello generato.

L’automatizzazione di armi sembra essere una delle maggiori preoccupazioni degli esperti nel settore, così come l’incremento della disuguaglianza sociale.

Secondo la professoressa di Princeton Olga Russakovsky, il pregiudizio dell’AI va ben oltre il genere e la razza, ma è piuttosto intrinseco allo stesso sviluppo dell’AI, essendo i suoi creatori esseri umani ed avendo esperienze limitate che saranno a loro volta un limite all’inclusione delle minoranze. 

Una disparità resa ancor più grave dal fatto che l’automazione avrà un forte impatto su alcuni settori e meno su altri, sostituendosi ai posti di lavoro delle fasce medio-basse.

L’ultima grande preoccupazione riguarda la violazione della privacy, motivo alla base dell’attuale sospensione di ChatGPT nel nostro paese. 

Secondo il Garante questo strumento ha una potenzialità manipolatoria senza precedenti. Egli ha rilevato la mancanza di una informativa agli utenti e a tutti gli interessati i cui dati vengono raccolti da OpenAI, ma soprattutto l’assenza di una base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali, allo scopo di “addestrare” gli algoritmi sottesi al funzionamento della piattaforma. L’Autorità evidenzia inoltre come l’assenza di qualsivoglia filtro per la verifica dell’età degli utenti esponga i minori a risposte assolutamente inidonee rispetto al loro grado di sviluppo e autoconsapevolezza.

Secondo il Garante, la tecnologia è diventata troppo potente, troppo estesa, troppo intrusiva. Deve continuare ad essere uno strumento al servizio dell’Uomo e non viceversa.

L’AI del futuro tra sfide e responsabilità

In definitiva, il nostro assistente personale ha un profilo pieno di chiaroscuri. Potrebbe imparare sempre di più, conoscerci sempre meglio, essere in grado di gestire in autonomia le nostre cose, aiutandoci e sollevandoci da alcune incombenze ma, come ogni buon assistente, potrebbe rendersi sempre più indispensabile e quindi dipendenti dal suo supporto. Il classico scenario dell’allievo che supera il maestro solo che, in questo caso, la guida del maestro potrebbe non lasciar più alcuna traccia, eclissata da una così potente efficienza tecnologica.

Ed è questa la sfida che si pone davanti a noi. Sono queste le motivazioni che hanno spinto i più grandi imprenditori, ricercatori ed esperti del settore a firmare una petizione per chiedere ai laboratori di Ai di andare in vacanza, godersi una bella estate, riflettere, e tornare con la voglia di andare avanti, di scoprire, di evolvere, ma non con il piede premuto sull’acceleratore a tutti i costi. 

Abbiamo tra le mani uno strumento dalle potenzialità inimmaginabili, è nostra la responsabilità di assicurarsi di avere le spalle coperte per riuscire a gestire problematiche normative, etiche e di sicurezza.

Assicuriamoci di sviluppare sistemi che riusciamo a gestire, con protocolli di sicurezza che possano essere verificati da terze parti, una normativa solida con controlli, certificazioni e sanzioni per contenere i potenziali danni causati dall’AI. Assicuriamoci i finanziamenti per la sua ricerca, in modo da riuscire ad anticiparne la direzione, o quantomeno a saper virare lo sterzo e garantirci di essere sempre alla guida di questa straordinaria scoperta che potrebbe portarci in nuove dimensioni e farci provare cose che ancora non riusciamo ad immaginare.

Fatevi
sentire.

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