25 Marzo 2013
25 Marzo 2013
Il marketing virale viene definito tale perché richiama il modello di propagazione dei virus biologici, con la fondamentale differenza che il contagio digitale, si diffonde molto più velocemente e a spettro molto più ampio di quello organico ed è il risultato che tutti si augurano.
Virale, virale, virale: il santo Graal della comunicazione digitale, e un elisir di eterna giovinezza per i creativi che hanno la fortuna di indovinare il concept giusto. Tuttavia non è semplice che un video pubblicitario (sia esso uno spot o un contenuto branded) si diffonda in tempi brevi in modo spontaneo, per questo viralità e diffusione camminano mano nella mano. Il video seeding è un ottimo modo per dare una “spintarella” iniziale.
Virale non si nasce, si diventa. Sarebbe un po’ assurdo affermare a priori di aver creato un video virale, è come se una casa cinematografica annunciasse le riprese di un film che incasserà milioni e milioni. Quello che è possibile, invece, è progettare un contenuto che faccia vibrare le corde emotive di chi riceve il messaggio, stimoli i suoi interessi o lo colpisca al punto da fargli decidere di condividere il nostro video.
Un contenuto che possa davvero stimolare alla condivisione deve nascere con un’idea precisa dell’effetto che dovrà avere su chi riceve il messaggio, e della rilevanza del concept rispetto al brand o al prodotto. Senza dubbio ci vuole un qualcosa che sappia attirare l’attenzione e sia possibilmente “sul pezzo”, cioè rilevante per il pubblico e/o correlato a un evento recente. Se poi stimola chi lo guarda a re-interpretarlo e ricrearlo meglio ancora. La condivisione comunque non può esistere senza engagement.
Uno spot può essere ricordato perché molto divertente, ma magari faticare ad essere associato al brand che l’ha realizzato: occorre trovare una via di mezzo. Spesso il fattore discriminante all’adozione del contenuto è proprio il livello di branding: le persone si fidano poco dei contenuti provenienti dalle aziende, e non amano fruire di un contenuto con un mero e dichiarato scopo pubblicitario.
Se nel video la presenza del brand è massiccia, è più facile che sia condiviso dagli utenti se sono degli influencer a proporlo. Stesso discorso vale per i testimonial, un personaggio celebre non basta più per assicurare il successo di una campagna video. Provate invece a cercare un testimonial attivo e con un pubblico attivo online, i risultati saranno sicuramente migliori.
La diffusione è diversa dalla viralità: si tratta di selezionare i luoghi del web (blog, siti, piattaforme, forum, chi più ne ha più ne metta) con le caratteristiche più adatte per “inseminare” (che in inglese si dice seeding, per l’appunto), banalmente dare visibilità, al nostro contenuto e fare in modo che “attecchisca”, cioè che le persone dopo averlo guardato ne parlino, lo condividano, ci interagiscano in qualche modo.
Questo è sempre possibile, anzi è la modalità più utilizzata per favorire la diffusione di un contenuti video. E vi dirò anche il motivo: mentre la diffusione virale è spesso imprevedibile (può avvenire subito o metterci molto tempo), le campagne di marketing hanno delle tempistiche da rispettare e il boost iniziale dato dal seeding può essere fondamentale.
Fare seeding è come starnutire in faccia alle persone per attaccare loro l’influenza. A parte il paragone colorito, come svolgere una campagna di questo tipo in modo corretto? Vi direi di telefonarci perché facciamo tutto noi, ma magari siete abbastanza temerari da farlo da soli, e allora vi espongo qualche linea guida. La parola temerari non è usata a caso: c’è molto lavoro da fare, l’attività richiede una discreta quantità di tempo, non esistono formule magiche.
L’ attività di seeding può essere di due tipi: “paid for placement” e “outreach“. Il paid for placement, come dice la parola stessa, consiste nell’acquisto della visibilità su siti o piattaforme selezionate, di solito perché sono influenti e popolari all’interno di un pubblico adatto alla campagna.
L’altro tipo, l'”outreach”, è quello a cui di solito ci si riferisce quando si parla di seeding. Consiste nel contattare in modo mirato alcune persone che gestiscono un blog o hanno account molto seguiti sui social network, e quindi postano contenuti che raggiungono un pubblico vasto. Non si può pagare per ottenere la visibilità sui loro spazi, per questo è importantissimo coltivare i rapporti con loro. E’ chiaro che poi il contenuto debba essere valido e rilevante, e possibilmente nuovo.
E’ giustissimo parlare di finta viralità laddove siano state utilizzate pratiche scorrette (ad esempio, l’acquisto di pacchetti di visualizzazioni da parte di utenti indeterminati o costruiti ad hoc) per assicurare visibilità, ma non per questo bisogna demonizzare l’utilizzo dei paid media. Una campagna paid può infatti essere un perfetto trampolino di lancio, e se il contenuto è valido le visualizzazioni garantite acquistate possono moltiplicarsi facilmente. Per gli stessi motivi direi che non si può più prescindere dal seeding: in un ambiente così saturo di informazioni è fondamentale essere presenti, e coltivare relazioni con blogger, testate e personalità di spicco può fare solo bene.
Alla fine si riduce tutto nel selezionare il tramite giusto per il vostro contenuto. Come fare?
Ecco fatto, ci vuole un po’ di lavoro e molta attenzione, ma se avete fatto tutto giusto otterrete dei grandi risultati, che renderanno utenti e clienti felici e contenti (che fa anche rima).
La vostra crescita parte da qui. Senza impegnarvi, senza bisogno di troppi dettagli. Ma iniziamo a conoscerci, o non scoprirete mai cosa Viralbeat può fare per voi. Scriveteci e vi ricontatteremo, pronti ad ascoltare. E a proporre.