8 Gennaio 2018
8 Gennaio 2018
Come cambia il funnel di vendita dal marketing tradizionale al marketing digitale. Scopriamo da vicino cosa sono le brand personas.
Nel marketing tradizionale il percorso di avvicinamento di un consumatore al prodotto era storicamente molto regolare, diviso in fasi precise “guidato” dall’azienda, che, attraverso una comunicazione di tipo push, spingeva il prodotto verso il suo target, fornendogli stimoli precisi. Questo processo, schematico e pianificabile in modo cronologico, appartiene ormai al passato.
Oggi, con la diffusione dei social media e dei device mobili, la comunicazione “commerciale” è stata costretta a spostarsi verso l’universo digitale. Il customer journey, il viaggio che compie un potenziale acquirente per trasformarsi prima in lead e poi in cliente, ha modificato la sua struttura. I modelli “intent based”, cioè quelli che descrivono i vari step di cui si compone un funnel di vendita, sono molteplici, ma la caratteristica comune è che oggi i processi in cui può essere coinvolta un’audience possono svilupparsi anche in contemporanea, in modo molto flessibile.
In questa nuova visione dei processi di vendita e della relativa comunicazione il momento che diventa cruciale è stato definito da Google come ZMOT (Zero moment of thruth): la fase in cui il consumatore costruisce la sua opinione sul prodotto o servizio.
La comunicazione sul web e sui social media, con la possibilità di profilare i messaggi, rendendoli visibili solo ad un determinato tipo di pubblico, giocano un ruolo di primo piano. Lo ZMOT rappresenta infatti la fase in cui il futuro cliente trascorre la sua vita online, esposto ai contenuti che maggiormente sono affini ai suoi interessi e alle sue attitudini, frequenta community dove può acquisire informazioni e magari entra in relazione con il nostro brand o con i suoi competitor. Tutto si svolge secondo una logica pull, in cui è l’utente ad attivare la comunicazione e non a subirla.
Uno degli strumenti più efficaci è la costruzione di brand personas, una tecnica con cui si procede alla profilazione del cliente tipo, umanizzandolo e andando a descrivere quelle che sono i suoi bisogni, le sue paure e le sue aspirazioni, partendo dall’analisi e dall’interpretazione di tutti i dati di cui disponiamo.
Per poter creare a tavolino i nostri personaggi, o, anche semplicemente per approfondire meglio le brand personas già precedentemente individuate, rispetto a quelle che sono le esigenze del nostro progetto, è fondamentale fare riferimento all’analisi quali-quantitativa. Più informazioni acquisiamo su comportamenti e modi di pensare dei nostri utenti, più consumer insight raccogliamo, più possiamo metterli a sistema e utilizzarli per pianificare le nostre scelte strategiche, sia se dobbiamo supportare il nostro designer per costruire l’UX di un sito, sia se dobbiamo suggerire linee editoriali al nostro Social Media Manager.
I nostri contenuti, le core ideas che li ispireranno, saranno tanto più efficaci quanto capaci di entrare in relazione ed empatia con l’utente tipo. Brand personas, content strategy e analisi qualitativa si intrecciano, così, in un unico framework strategico.
Per individuare le brand personas, caratterizzarne i gusti, la personalità o il modo di rapportarsi ad un media, il monitoring e l’analisi delle conversazioni online sono strumenti potentissimi e molto efficaci.
L’acquisizione di informazioni sul target e sulle brand personas può avvenire sia offline che online. Un focus group o delle survey portano grandi benefici, ma un metodo sicuramente più veloce, economico e dunque più efficiente è lo studio delle conversazioni online. Le persone un po’ per scelta, un po’ per una navigazione indotta dai vari algoritmi dei social media, tendono a verticalizzare sempre di più la loro navigazione (pensiamo ad Instagram, ad esempio, che sta introducendo la possibilità per gli utenti di seguire hashtag specifici, una scelta che renderà i feed ancora più tematici).
Indagare un’area tematica o un topic che riteniamo strategico per il brand può trasformarsi in una miniera di informazioni sugli utenti. Tuttavia, se ci limitassimo alla mera raccolta di dati o al social media listening, potremmo ritrovarci liste infinite di informazioni non correlate.
Un meccanismo esplorativo molto utile è l’analisi delle keyword in ottica quali-quantitativa. Le nostre keyword sono delle parole singole, dei gruppi di parole o anche degli hashtag. In quest’ultimo caso l’utente ha consapevolezza dell’utilizzo dell’occorrenza testuale e, se stiamo operando sui social media, è evidente una chiara volontà di inserire il contenuto, a cui l’hashtag è associato, in una determinata narrazione. Eccezion fatta per la presenza di errori di ortografia o casi di ambiguità, cui dobbiamo sempre prestare enorme attenzione per non rischiare di arrivare a conclusioni distorte, le informazioni che ne ricaviamo in termini di consumer behaviour sono molto più interessanti.
Il primo step consiste, dunque, nell’individuare l’area tematica su cui concentrare la nostra indagine. In questa fase non si scappa dal confronto col cliente, già in fase di brief. Sarà lui a indicare il target e l’area che ritiene più funzionale al suo business. Mai commettere l’errore di invertire la sequenza: è il target che va cercato e studiato all’interno dell’area tematica, non l’utente dell’area tematica che diventa in automatico target del nostro brand. Differenza sottile, ma fondamentale per costruire oggi su basi solide il costumer journey di domani e non buttare budget dalla finestra.
Lo studio dell’area tematica ci porterà a individuare una serie di entità che riterremo pertinenti e sarà su quell’insieme che potremo realizzare il nostro focus analitico. Potremmo avere a che fare con altri brand o ricevarne una serie di hashtag molto utilizzati e, quindi, per qualche ragione, rilevanti agli occhi degli utenti.
Basta anche solo un hashtag per iniziare a tarare la nostra “bussola”. Attraverso un approccio analitico e appositi tool possiamo individuare quelli associati con maggiore frequenza alla keyword di partenza. Questo dato ci restituisce una vicinanza semantica tra un hashtag e un altro e quindi tra un concetto e un altro. Sono gli utenti a indicarci questa vicinanza: a noi il compito di fotografarla e indagarla. Lavorando in modo attento con la categorizzazione possiamo così individuare una serie di aree correlate. Se tutto questo procedimento vi sembra un po’ ostico un esempio fatto in casa nell’ambito dei nostri studi sugli scenari dove agiscono i brand renderà tutto più semplice.
Immaginiamo di dover pensare la strategia social per un brand beauty che ha a che fare con l’universo bio. Da dove potremmo partire per sviluppare i nostri ragionamenti? Dall’analisi e dalla categorizzazione degli hashtag correlati a #naturalbeautyproducts!
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